Intervista al maestro Guru Dev Singh, con il giornalista Gustavo Lomelin
Aprile 2014
Intervista al maestro Guru Dev Singh con il giornalista Gustavo Lomelin all’interno del programma televisivo “En Corto” del canale Television Educativa (Messico, aprile 2014).
Traduzione dallo spagnolo di Alessia Russo. Le domande sono state condensate.
Come definisce se stesso Guru Dev Singh?
Io penso che Guru Dev Singh sia essenzialmente un ragazzo messicano, un ragazzo messicano del nostro tempo. Tanti anni fa, intorno al ‘68, dopo la crisi politica, molti di noi giovani andammo alla ricerca delle radici messicane nelle zone abitate dagli indigeni; io ebbi fortuna, incontrai un indigeno che praticava la sua tradizione contemplativa. Trascorsi alcuni anni con lui e, dopo un anno e mezzo, mi resi conto che il suo spagnolo non aveva nulla a che vedere con il mio, anche se lui parlava perfettamente spagnolo. Ciò che lui era rappresentava una parte della mia memoria, della mia essenza di messicano. Rimasi con lui e studiai a lungo questa forma contemplativa di azione nella realtà che consiste nel non anteporle un simbolo, permettendole di essere sperimentata. In quel gruppo, gli indigeni lo fanno camminando e praticando i loro atti devozionali. Sarebbe stato impossibile per me arrivarci con la mia formazione di “civilizzato”. In quel periodo incontrai un insegnante di kundalini yoga; incominciai a studiare e quello che trovai fu una tecnica in grado di ridurre la mia distrazione e il mio condizionamento, che mi impedivano di raggiungere uno stato contemplativo. Cominciai a studiare molto seriamente. Un giorno conobbi il mio maestro di kundalini yoga che iniziò formarmi personalmente. Indusse in me uno stato specifico della coscienza, lo stato del silenzio proiettivo; io lo riconobbi, lui capì che l’avevo riconosciuto e, a partire di lì, cominciai il mio percorso come curatore di una tecnica tradizionale che si chiama Sat Nam Rasayan. Si tratta di una tecnica essenzialmente esperienziale, che permette di sviluppare uno stato di coscienza e di silenzio attivo molto forte. Quando il mio livello di paranoia si abbassò, pensai di avere scoperto qualcosa che poteva aiutare le persone a superare l’ansia per ciò che stava succedendo in quel momento in Messico, dove regnava la conflittualità. Il kundalini yoga come lo insegnava Yogi Bhajan, è una tecnica yogica che permette alle persone di trovare un equilibrio in quest’epoca di cambiamento, in cui si è passati da una psiche totalmente simbolica a una psiche esperienziale. Abbiamo smesso di cercare l’informazione simbolica, quello che cerchiamo ora è l’esperienza. Tuttavia non siamo stati preparati ad affrontare questo momento, e il livello di ansia è molto alto. Il kundalini yoga cerca di risolvere questo processo di ansia. Ciò cominciò a funzionare molto bene negli anni in cui Yogi Bhajan insegnava, c’erano molti studenti di kundalini yoga e gli ashram aumentavano. Un giorno Yogi Bhajan giunse alla conclusione che non c’era più tempo: il kundalini yoga, che pur si stava diffondendo notevolmente, non cresceva in maniera sufficientemente rapida per il livello di follia a cui stavamo per arrivare… ed effettivamente ci siamo arrivati! In quel momento propose questa tecnica,il Sat Nam Rasayan che, attraverso la mente meditativa proiettiva permette di raggiungere un equilibrio per l’effetto della meditazione di una persona sullo stato mentale dell’altra. Invece di fare kundalini yoga, tu vai da uno di questi curatori di Sat Nam Rasayan e lui ti produce lo stesso effetto del kundalini yoga senza praticarlo.
Chi era Yogi Bhajan?
Era uno yogi un po’ fuori dallo stile yogico normale, aveva l’abilità di “interrelazionare” il momento. Trovò un modo per liberare la resistenza che impedisce di avere una relazione più tollerante. Il suo yoga mirava ad aumentare il livello di tolleranza; nel momento in cui aumenti la tua capacità di tolleranza, aumenti la tua capacità di relazione, di relazione consapevole, e ciò ti dà la possibilità di avere un’esperienza più profonda delle tue relazioni. Lui aveva studiato lo yoga tradizionale e, prima di arrivare negli Stati Uniti, fece l’esperienza di un livello di coscienza che definì “projective meditative mind” (in inglese nell’intervista. “mente meditativa proiettiva”). Andò prima in Canada, non gli piacque e si trasferì negli Stati Uniti. Diceva di essere andato negli Stati Uniti perché quella parte dello yoga che stava sviluppando era molto interessante per le scuole di parapsicologia sovietiche e, dato che lui non voleva collaborare con i sovietici, andò prima in Canada e poi a Los Angeles, dove fece il suo primo ashram. Yogi Bhajan diceva di essere arrivato negli Stati Uniti con una sola meditazione, poi lì sviluppò questo sistema che utilizza un linguaggio fisico molto semplice, usa suoni, forme di respiro e mantra; esso permette, attraverso il linguaggio corporeo, che il flusso del prana sui tuoi canali, sulle tue nadi, modifichi la tua “tendenza”, o meglio la resistenza che ti sta obbligando a tenere una tendenza nella relazione, e che ti impedisce di essere tollerante. Se tu osservi le possibilità della tua esistenza, ti accorgi che sono limitate dalla tua tendenza. Tu hai un confine di dolore, di paura, e questo organizza la tua esistenza; mai metterai un piede fuori da quel confine, perché in quel momento la mente negativa, che è come il guardiano del tuo ego, ti dice che rischi di scomparire, di morire, di sentire troppo dolore, o che forse dall’altra parte c’è qualcosa di strano… E così viviamo, dicendo:“ Va beh, io sono determinato e delimitato da questa condizione!”. Dove sta scritto questo? Sta scritto nel tuo livello di tolleranza e nel tuo sistema nervoso: quanto stress sei capace di accettare e che cosa succede se il tuo sistema nervoso diventa più tollerante, se dai maggiori input e più feedback? Le tue opzioni aumentano, in quel momento sei capace di accettare più relazioni. Qual è il limite di accettazione degli esseri umani? L’accettazione umana è infinita.
Come hai appreso il sistema della cura attraverso gli insegnamenti di Yogi Bhajan?
Io ho lavorato molto sul processo di reazione. Yogi Bhajan era un gran maestro; quello che facevamo era conversare, io reagivo e il giorno dopo tornavo, conversavamo ancora e nel momento in cui reagivo la pratica finiva. Nel corso di queste conversazioni osservavo il momento in cui non riuscivo a liberarmi dalla reazione; quindi meditavo, praticavo tutti i miei esercizi, finché arrivò un momento in cui smisi di reagire, o meglio: ero diventato capace di accettare il processo senza avere una reazione. Dobbiamo pensare che, quando avviene una reazione, è come se la coscienza si concentrasse e non permettesse tutto ciò che sta accadendo nel mentre. Questo avviene quando hai un dolore, per esempio. Tu hai un dolore ai molari e questo dolore diventa assoluto; mentre tu hai il dolore ai molari l’infinito sta succedendo ma la tua coscienza è concentrata su uno stimolo che sta producendo una reazione. Attraverso lo yoga, arriva un momento in cui riconosci il tuo dolore ma senti anche che tutto il resto sta avvenendo. Un giorno per me accadde proprio questo: non importava che cosa potesse succedere, io ero capace di percepire il momento nella sua ampiezza e di non identificarmi con un evento. Quindi, quello che fece Yogi Bhajan fu di indurre in me uno stato specifico, lo stato della mente proiettiva meditativa, e quando io ebbi riconosciuto questo stato l’insegnamento si concluse. Mi ci vollero dieci anni per realizzare questo processo. Un giorno arrivò Yogi Bhajan e mi disse: “Tu devi andare a vivere in Italia!”. Io non me lo sarei mai immaginato, sono un messicano puro, mi piace il Messico e ci sto bene, quindi dissi: “Perché in Italia?”. Lui rispose: “Perché tutti quelli che hanno conquistato Roma, hanno conquistato il mondo!”. Con questa frase, andai a vivere in Italia e diffusi l’insegnamento; abbiamo una scuola molto grande, con persone che studiano questo processo e lo praticano, applicano la tecnica e ottengono ottimi risultati.
Come recuperare questa spiritualità in un mondo tanto sconvolto come il nostro?
Essenzialmente tornando alle nostre radici, vissute non come credenze ma come esperienze. Vuol dire evitare che il bagaglio di conoscenze che ci portiamo in testa ci impedisca di relazionarci con l’essere, e questo è ciò che io ho appreso con Yogi Bhajan. L’ho appreso da una tradizione del nord dell’India, la tradizione del Sikh Dharma, che si sviluppò nel IV secolo con l’arrivo di Guru Nanak; lui non inventò una religione, ma prese la tradizione e la spiegò come una forma in qualche modo “tecnologica”, per arrivare a ciò che il kundalini yoga permette di ottenere facendo esercizi e meditazioni o a quanto il mio maestro messicano cercava di insegnarmi camminando e praticando. C’è bisogno di una disciplina che permetta di abbassare il livello di ansia, in modo tale che quest’ultima smetta di essere l’origine delle nostre azioni. Per questo mi sono appassionato al kundalini yoga, perché attraverso gli esercizi mi permetteva per lo meno di eliminare la mia ansia, di riconoscerla e di riconoscere cosa succedeva nello spazio della relazione: l’ansia rendeva questo spazio una ripetizione continua delle mie compulsioni. Le tecniche come il kundalini yoga, e così altre tecniche spirituali, ti permettono di mantenere uno stato di non reazione; questo non vuol dire che ti desensibilizzi, al contrario, il tuo spazio sensibile si apre molto di più e ti permette di relazionarti consapevolmente. Questo fa parte anche della nostra tradizione messicana. Ho osservato le danze messicane e le cerimonie che ci permettono di entrare in questo stato meditativo contemplativo, consentendoci di avere una relazione molto più profonda con ciò che succede. La meditazione in Messico si faceva camminando, danzando, recandosi nei centri cerimoniali, si faceva cantando.
Che consigli darebbe ai messicani? Che cosa devono fare per la loro crescita spirituale?
Essenzialmente di riconoscere se stessi, capendo che, per quanto le cose vadano male, possono migliorare. Devono uscire da questo “programma” di sfruttamento dell’ambiente e dell’essere umano, rendendosi conto che è successo qualcosa ed è successo a loro per il fatto di essere nati qui: che lo riconoscano e ne traggano beneficio! Siamo nati mestizos. C’era qualcosa di particolare, qui in Messico, ed è capitato a noi. Non mi piace l’espressione “crescita spirituale”. Tu già sei perfetto, devi semplicemente smettere di essere distratto. Questo è l’obiettivo costante: non essere distratti. Io sono qui e permetto che la realtà mi tocchi. I messicani sono mistici. Yogi Bhajan diceva che il 30% dei messicani ha una mente meditativa sviluppata. Takata Roshi, il buddista che venne qui alla fine degli anni ‘60 inizi ’70, scrisse un articolo molto bello che s’intitola “Il Messico non ha bisogno dello Zen”, perché i messicani che seguono la tradizione vivono già in uno stato zen. Quando vivevo con gli indigeni, non dovevamo sederci e bere caffè per pensare. La funzione della mente che chiamiamo pensiero astratto è soltanto una piccola parte della coscienza. Che succede ai messicani? Quando vengo in Messico insegno cose che non mi azzarderei ad insegnare altrove, perché i messicani hanno una capacità meditativa profonda e soprattutto la accettano socialmente.